Il ruolo delle Chiese locali
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Il ruolo delle Chiese locali
Il ruolo delle Chiese locali
Così la dottrina sociale della Chiesa acquista una rinnovata attualità. Ma che cosa significa questa affermazione? Un leader di Azione Cattolica, rispondendo a un imprenditore che gli chiedeva quali riforme applicare per uniformare la sua impresa alla dottrina sociale, diceva: « Non cerchi di applicare per conto suo le encicliche alla sua azienda. Otterrebbe solo due cose: il suo fallimento e il discredito delle encicliche»9. Ciò che potrebbe essere solo una battuta nasconde una grande verità e uno dei motivi per cui la dottrina sociale secondo alcuni è fallimentare. Sbagliano i cristiani che vanno cercando nel Vangelo le ricette per risolvere i loro problemi. Lo stesso vale per la dottrina sociale cristiana: essa è, innanzi tutto, uno stimolo e un aiuto al discernimento, che deve essere l’atteggiamento di ogni cristiano, non una serie di prescrizioni, come vorrebbero alcuni.
Paolo VI, con la grande onestà e rispetto che gli erano caratteristici, nella già citata lettera apostolica Octogesima adveniens, ben consapevole della complessità e diversità proprie delle questioni sociali, politiche, economiche e culturali, riconosceva i limiti di chi svolge il compito di pastore e invitava le comunità cristiane al discernimento. Il Compendio al riguardo afferma: «L’esposizione dei principi della dottrina sociale intende suggerire un metodo organico nella ricerca di soluzione ai problemi, affinchè il discernimento, il giudizio e le scelte siano rispondenti alla realtà e la solidarietà e la speranza possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne».
Il magistero romano – per sua stessa natura indirizzato alla Chiesa universale e a tutti gli uomini e donne di buona volontà – non può entrare nel particolare, ma deve mantenersi a un certo livello di generalità e richiede perciò mediazioni, che competono ai pastori locali e ai fedeli laici, per rendere i principi, i criteri e le linee per l’azione applicabili ai diversi contesti. Si deve ammettere, tuttavia, che fino ai nostri giorni questo magistero è rimasto ancora un po’ troppo eurocentrico. E’ auspicabile che le mediazioni delle Chiese della «periferia» del mondo diano luogo a un’azione sinergica che continui ad arricchire il magistero universale, come, di fatto, è già accaduto con il contributo delle Chiese dell’America Latina. La voce dei pastori proveniente da altri continenti, infatti, fu ascoltata per la prima volta nel Sinodo sulla giustizia (1971) e in quello sulla evangelizzazione (1974), come fu riconosciuto dallo stesso Paolo VI: «E’ noto in quali termini ne abbiano parlato, al recente Sinodo, numerosi Vescovi di tutti i Continenti, soprattutto i Vescovi del Terzo Mondo, con un accento pastorale in cui vibrava la voce di milioni di figli della Chiesa che formano quei popoli. Popoli impegnati, Noi lo sappiamo, con tutta la loro energia, nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neo-colonialismo economico e culturale talvolta altrettanto crudele quanto l’antico colonialismo politico. La Chiesa, hanno ripetuto i Vescovi, ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, essendo molti di essi figli suoi; il dovere di aiutare questa liberazione a nascere, di testimoniare per essa, di fare sì che sia totale. Tutto ciò non è estraneo all’evangelizzazione»1.
L’esperienza dei Sinodi, in particolare dei primi, contribuì alla comprensione della necessaria complementarietà fra il magistero pontificio e quello episcopale: «Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l’indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l’insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali».
Così la dottrina sociale della Chiesa acquista una rinnovata attualità. Ma che cosa significa questa affermazione? Un leader di Azione Cattolica, rispondendo a un imprenditore che gli chiedeva quali riforme applicare per uniformare la sua impresa alla dottrina sociale, diceva: « Non cerchi di applicare per conto suo le encicliche alla sua azienda. Otterrebbe solo due cose: il suo fallimento e il discredito delle encicliche»9. Ciò che potrebbe essere solo una battuta nasconde una grande verità e uno dei motivi per cui la dottrina sociale secondo alcuni è fallimentare. Sbagliano i cristiani che vanno cercando nel Vangelo le ricette per risolvere i loro problemi. Lo stesso vale per la dottrina sociale cristiana: essa è, innanzi tutto, uno stimolo e un aiuto al discernimento, che deve essere l’atteggiamento di ogni cristiano, non una serie di prescrizioni, come vorrebbero alcuni.
Paolo VI, con la grande onestà e rispetto che gli erano caratteristici, nella già citata lettera apostolica Octogesima adveniens, ben consapevole della complessità e diversità proprie delle questioni sociali, politiche, economiche e culturali, riconosceva i limiti di chi svolge il compito di pastore e invitava le comunità cristiane al discernimento. Il Compendio al riguardo afferma: «L’esposizione dei principi della dottrina sociale intende suggerire un metodo organico nella ricerca di soluzione ai problemi, affinchè il discernimento, il giudizio e le scelte siano rispondenti alla realtà e la solidarietà e la speranza possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne».
Il magistero romano – per sua stessa natura indirizzato alla Chiesa universale e a tutti gli uomini e donne di buona volontà – non può entrare nel particolare, ma deve mantenersi a un certo livello di generalità e richiede perciò mediazioni, che competono ai pastori locali e ai fedeli laici, per rendere i principi, i criteri e le linee per l’azione applicabili ai diversi contesti. Si deve ammettere, tuttavia, che fino ai nostri giorni questo magistero è rimasto ancora un po’ troppo eurocentrico. E’ auspicabile che le mediazioni delle Chiese della «periferia» del mondo diano luogo a un’azione sinergica che continui ad arricchire il magistero universale, come, di fatto, è già accaduto con il contributo delle Chiese dell’America Latina. La voce dei pastori proveniente da altri continenti, infatti, fu ascoltata per la prima volta nel Sinodo sulla giustizia (1971) e in quello sulla evangelizzazione (1974), come fu riconosciuto dallo stesso Paolo VI: «E’ noto in quali termini ne abbiano parlato, al recente Sinodo, numerosi Vescovi di tutti i Continenti, soprattutto i Vescovi del Terzo Mondo, con un accento pastorale in cui vibrava la voce di milioni di figli della Chiesa che formano quei popoli. Popoli impegnati, Noi lo sappiamo, con tutta la loro energia, nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neo-colonialismo economico e culturale talvolta altrettanto crudele quanto l’antico colonialismo politico. La Chiesa, hanno ripetuto i Vescovi, ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, essendo molti di essi figli suoi; il dovere di aiutare questa liberazione a nascere, di testimoniare per essa, di fare sì che sia totale. Tutto ciò non è estraneo all’evangelizzazione»1.
L’esperienza dei Sinodi, in particolare dei primi, contribuì alla comprensione della necessaria complementarietà fra il magistero pontificio e quello episcopale: «Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l’indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l’insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali».
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