DAL VANGELO AL DISCORSO SOCIALE
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DAL VANGELO AL DISCORSO SOCIALE
Il Vangelo non è stato scritto soltanto per un numero ristretto di privilegiati, che hanno il dono della fede, ma è un messaggio per ogni uomo che viene su questa terra, di ogni luogo e di ogni tempo. Il Vangelo è l’unico libro del quale non sia mai stata smentita una sola affermazione e non inganna mai. A misura che passano i secoli la storia gli dà sempre ragione, nonostante i limiti, le debolezze e gli errori di tanti uomini che l’annunciano. Ora la missione della Chiesa è essenzialmente quella di annunciare il Vangelo; è una missione religiosa, non è d’ordine politico, economico e sociale. Tuttavia questa natura religiosa e soprannaturale non solo non la separa dalla storia e dalle realtà temporali, ma in queste la chiesa si incarna e si realizza.
L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico. Per questo il messaggio evangelico sull’uomo e sulla società non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina. Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione integrale che comporta la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico che derivano tutte dal peccato e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità.
Si pone quindi la questione di come annunciare il Vangelo perché venga da tutti compreso e liberamente accolto. E’ il problema del rapporto tra Vangelo e cultura. Infatti, se il messaggio di liberazione di Dio all’uomo non si traduce nei valori, nel costume, nel linguaggio e nei simboli della cultura, esso rimane muto e incomprensibile per il destinatario. “Il dramma della nostra epoca è la frattura tra il Vangelo e la cultura” (Paolo VI – Evangelii nuntiandi).
La libera adesione dell’uomo alla rivelazione di Dio è di natura soprannaturale e trascendente, la cultura invece è un fenomeno di origine umana e immanente e muta secondo i tempi e i luoghi. La fede non può fare a meno di tradursi in culture diverse. La rivelazione e il Vangelo non si identificano certo con la cultura e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il regno che il Vangelo annunzia è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura. Ecco perché, all’interno del profondo cambio culturale del nostro tempo, si impone una nuova evangelizzazione, una nuova “inculturazione” della fede, affinché, il Vangelo sia accettato da tutti e sia fermento del mondo nuovo. Quindi il diritto-dovere della Chiesa di intervenire in materia sociale, fa parte della sua stessa missione religiosa di annunciare il Vangelo. Due sono a mio avviso i motivi principali:
1- L’ordine morale è intimamente connesso con l’ordine soprannaturale. Le stesse cose terrene e le istituzioni umane, nei disegni di Dio, sono ordinate alla salvezza degli uomini. La Chiesa, dunque, ha competenza a intervenire sulle questioni sociali, economiche e politiche nella misura che esse toccano il campo morale.
2- La rivelazione cristiana ha un’intrinseca dimensione storica. L’economia della salvezza è storia. Cristo è Dio che entra nella storia del mondo, l’assume e la ricapitola in sé.
Facendo proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, la Chiesa è intimamente e realmente solidale con il genere umano e con la sua storia; condivide con l’umanità i grandi problemi umani allo scopo di salvare la persona umana e di rinnovare l’umana società.
“…La dottrina sociale della Chiesa, non è una terza via tra il capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per le altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure una ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma a quello della teologia e specialmente della teologia morale” (Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis n. 41.
Dunque si possono ritenere definitivamente acquisite chiarite l’esistenza e la legittimità di una “dottrina sociale” o “insegnamento sociale” della Chiesa, in cui occorre distinguere ciò che ha valore permanente ( i grandi principi morali, conformi al vangelo e alla retta ragione) da ciò che ha valore contingente e storico ( i giudizi sulla realtà sociale, politica ed economica in evoluzione). Una lettura attenta alla logica del discorso sociale della Chiesa, aiuterà i fedeli laici a tradurre in pratica in modo laico, autonomo e creativo, l’insegnamento sociale del magistero, conservando intatto nei suoi confronti il dovuto “religioso ossequio dello spirito” (Lumen gentium n. 25).
L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico. Per questo il messaggio evangelico sull’uomo e sulla società non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina. Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione integrale che comporta la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico che derivano tutte dal peccato e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità.
Si pone quindi la questione di come annunciare il Vangelo perché venga da tutti compreso e liberamente accolto. E’ il problema del rapporto tra Vangelo e cultura. Infatti, se il messaggio di liberazione di Dio all’uomo non si traduce nei valori, nel costume, nel linguaggio e nei simboli della cultura, esso rimane muto e incomprensibile per il destinatario. “Il dramma della nostra epoca è la frattura tra il Vangelo e la cultura” (Paolo VI – Evangelii nuntiandi).
La libera adesione dell’uomo alla rivelazione di Dio è di natura soprannaturale e trascendente, la cultura invece è un fenomeno di origine umana e immanente e muta secondo i tempi e i luoghi. La fede non può fare a meno di tradursi in culture diverse. La rivelazione e il Vangelo non si identificano certo con la cultura e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il regno che il Vangelo annunzia è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura. Ecco perché, all’interno del profondo cambio culturale del nostro tempo, si impone una nuova evangelizzazione, una nuova “inculturazione” della fede, affinché, il Vangelo sia accettato da tutti e sia fermento del mondo nuovo. Quindi il diritto-dovere della Chiesa di intervenire in materia sociale, fa parte della sua stessa missione religiosa di annunciare il Vangelo. Due sono a mio avviso i motivi principali:
1- L’ordine morale è intimamente connesso con l’ordine soprannaturale. Le stesse cose terrene e le istituzioni umane, nei disegni di Dio, sono ordinate alla salvezza degli uomini. La Chiesa, dunque, ha competenza a intervenire sulle questioni sociali, economiche e politiche nella misura che esse toccano il campo morale.
2- La rivelazione cristiana ha un’intrinseca dimensione storica. L’economia della salvezza è storia. Cristo è Dio che entra nella storia del mondo, l’assume e la ricapitola in sé.
Facendo proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini, la Chiesa è intimamente e realmente solidale con il genere umano e con la sua storia; condivide con l’umanità i grandi problemi umani allo scopo di salvare la persona umana e di rinnovare l’umana società.
“…La dottrina sociale della Chiesa, non è una terza via tra il capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per le altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure una ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma a quello della teologia e specialmente della teologia morale” (Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis n. 41.
Dunque si possono ritenere definitivamente acquisite chiarite l’esistenza e la legittimità di una “dottrina sociale” o “insegnamento sociale” della Chiesa, in cui occorre distinguere ciò che ha valore permanente ( i grandi principi morali, conformi al vangelo e alla retta ragione) da ciò che ha valore contingente e storico ( i giudizi sulla realtà sociale, politica ed economica in evoluzione). Una lettura attenta alla logica del discorso sociale della Chiesa, aiuterà i fedeli laici a tradurre in pratica in modo laico, autonomo e creativo, l’insegnamento sociale del magistero, conservando intatto nei suoi confronti il dovuto “religioso ossequio dello spirito” (Lumen gentium n. 25).
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